giovedì 18 febbraio 2021

LE STORIE "LAVORANO DENTRO"

La lettura di buona letteratura, di buoni libri di narrativa rende empatici. Non certo la lettura di storie create apposta per indagare un’emozione piuttosto di un’altra, bensì la lettura di buone storie. Le buone storie sono quelle che non pretendono di trasmettere o insegnare valori, ma aiutano a pensarli. Le buone storie più che parlare di emozioni permettono di viverle. Le buone storie non sono scontate, prevedibili e chiuse, ma aprono al pensiero. Sono storie che raccontano una vicenda in modo incompleto e inatteso e che, proprio per questo, obbligano il lettore a immaginare quello che il testo non dice e a dare un senso alla narrazione, soprattutto al comportamento dei personaggi, attingendo al proprio vissuto, integrando lettura e vita. Sono storie che spingono chi legge a interrogarsi sugli stati mentali interni dei personaggi, a fantasticare su cosa avrebbero potuto fare di diverso da quello che lo scrittore ha deciso, a “essere creativi “ (Blezza Picherle, Silvia, Formare lettori, promuovere la lettura. Franco Angeli, 3a ed. corretta, 2015)
La lettura è palestra di emozioni perchè leggendo si sperimenta ciò che potrebbe essere reale e si possono approvare le reazioni dei personaggi, si può dissentire, si può immedesimarsi. Spesso capita di trovarsi in una situazione e ricordare una storia che descrive una circostanza simile, oppure, viceversa, si riconoscono nelle storie momenti della propria vita vissuta. Questo perché le storie “lavorano dentro”, entrano nel bagaglio con cui il lettore affronta il mondo e sono pronte a emergere quando è il momento giusto, fornendo quell’esperienza indiretta che aiuta (Barbero, Carola, La biblioteca delle emozioni: leggere romanzi per capire la nostra vita emotiva. Ponte alle Grazie, 2012). Attraverso le storie si riescono a capire delle cose anche a distanza di tempo, quando il “letto” in un dato momento, riflette il “vissuto” tempo dopo, o viceversa. Si tratta del potere che ha la lettura profonda che i bambini e i ragazzi possono imparare per diventare partecipi di ciò che leggono, arrivando ad andare spontaneamente alla ricerca dei significati per poi sviluppare quasi automaticamente competenze utili a capire gli altri esseri umani e le loro reazioni, senza diventare vittime di pratiche di lettura didascaliche e moralizzanti.
Come riassume perfettamente Beniamino Sidoti nell’introduzione al suo libro, con la buona narrativa, ma anche con i buoni albi illustrati, si rivendica, “alla scrittura, alla lettura, un lavoro che troppo spesso deleghiamo alla psicologia, alla filosofia o alla psicoterapia. Le storie e le poesie sono da sempre il modo principe con cui affrontiamo, conosciamo, scopriamo e addomestichiamo emozioni e sentimenti: lo facciamo spontaneamente, senza saperlo, e lo facciamo perché in ciò che leggiamo ci ritroviamo: e ritrovandoci sappiamo fare un passo avanti, o un passo indietro. Sappiamo ballare con le parole, e impariamo a viverle, senza restarne assordati(Sidoti, Beniamino, Stati d’animo. Rrose Sélavy, 2017).
Proporre letture e fare educazione alla lettura in quest’ottica, quindi, presuppone un modo diverso di mettersi di fronte alle storie e ai bambini e ragazzi. La lettura gratuita, quella che si fa per piacere, non finalizzata all’educazione linguistica o ad altro scopo didattico, non può essere imposta, ma suggerita nella libertà più ampia possibile di scelta e di modalità, trovando insieme storie adatte e alternando pratiche diverse: ad alta voce, silenziosa, autonoma e collettiva. La pratica della lettura come “piacere”, inoltre, si autoalimenta con l’insieme delle esperienze emozionali positive che offre al lettore (Levorato, M. Chiara, Le emozioni della lettura. Bologna: il Mulino, 2000) e diventa insieme appagamento e conoscenza.

 

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