La lettura di buona letteratura, di buoni libri di narrativa rende
empatici. Non certo la lettura di storie create apposta per indagare
un’emozione piuttosto di un’altra, bensì la lettura di buone
storie. Le buone storie sono quelle che non pretendono di trasmettere
o insegnare valori, ma aiutano a pensarli. Le buone storie più che
parlare di emozioni permettono di viverle. Le buone storie non sono
scontate, prevedibili e chiuse, ma aprono al pensiero. Sono storie
che raccontano una vicenda in modo incompleto e inatteso e che,
proprio per questo, obbligano il lettore a immaginare
quello che il testo non dice
e a dare un senso alla narrazione, soprattutto al comportamento dei
personaggi, attingendo al proprio vissuto, integrando lettura e vita.
Sono storie che spingono chi legge a interrogarsi sugli stati
mentali interni dei personaggi, a fantasticare su cosa avrebbero
potuto fare di diverso da quello che lo scrittore ha deciso, a
“essere creativi “ (Blezza
Picherle, Silvia, Formare
lettori, promuovere la lettura.
Franco Angeli, 3a
ed. corretta, 2015)
La
lettura è palestra di emozioni perchè leggendo si sperimenta ciò
che potrebbe essere reale e si possono approvare le reazioni dei
personaggi, si può dissentire, si può immedesimarsi. Spesso capita
di trovarsi in una situazione e ricordare una storia che descrive una
circostanza simile, oppure, viceversa, si riconoscono nelle storie
momenti della propria vita vissuta. Questo perché le storie
“lavorano dentro”, entrano nel bagaglio con cui il lettore
affronta il mondo e sono pronte a emergere quando è il momento
giusto, fornendo quell’esperienza indiretta che aiuta (Barbero,
Carola, La
biblioteca delle emozioni: leggere romanzi per capire la nostra vita
emotiva.
Ponte alle Grazie, 2012).
Attraverso le storie si riescono a capire delle cose anche a distanza
di tempo, quando il “letto” in un dato momento, riflette il
“vissuto” tempo dopo, o viceversa. Si tratta del potere che ha la
lettura profonda che i bambini e i ragazzi possono imparare per
diventare partecipi di ciò che leggono, arrivando ad andare
spontaneamente alla ricerca dei significati per poi sviluppare quasi
automaticamente competenze utili a capire gli altri esseri umani e le
loro reazioni, senza diventare vittime di pratiche di lettura
didascaliche e moralizzanti.
Come
riassume perfettamente Beniamino Sidoti nell’introduzione al suo
libro, con la buona narrativa, ma anche con i buoni albi illustrati,
si rivendica, “alla
scrittura, alla lettura, un lavoro che troppo spesso deleghiamo alla
psicologia, alla filosofia o alla psicoterapia. Le storie e le poesie
sono da sempre il modo principe con cui affrontiamo, conosciamo,
scopriamo e addomestichiamo emozioni e sentimenti: lo facciamo
spontaneamente, senza saperlo, e lo facciamo perché in ciò che
leggiamo ci ritroviamo: e ritrovandoci sappiamo fare un passo avanti,
o un passo indietro. Sappiamo ballare con le parole, e impariamo a
viverle, senza restarne assordati”
(Sidoti,
Beniamino, Stati
d’animo. Rrose
Sélavy,
2017).
Proporre
letture e fare educazione alla lettura in quest’ottica, quindi,
presuppone un modo diverso di mettersi di fronte alle storie e ai
bambini e ragazzi. La lettura gratuita,
quella che si fa per piacere, non finalizzata all’educazione
linguistica o ad altro scopo didattico, non può essere imposta, ma
suggerita nella libertà più ampia possibile di scelta e di
modalità, trovando insieme storie adatte e alternando pratiche
diverse: ad alta voce, silenziosa, autonoma e collettiva. La pratica
della lettura come “piacere”, inoltre, si autoalimenta con
l’insieme delle esperienze emozionali positive che offre al lettore
(Levorato,
M. Chiara, Le
emozioni della lettura.
Bologna: il Mulino, 2000) e diventa
insieme appagamento e conoscenza.
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